Guerra corsara nel Mediterraneo. Garibaldi e la missione di Paolo Pilotti. Origini e sviluppi di una strategia antiborbonica di Maurizio Mannoni, in “Nuova Rivista Storica”, Anno 2021 – Volume CV – Fascicolo I, pagg. 323-342

Questo contributo analizza un episodio poco conosciuto delle cronache risorgimentali: il piano “corsaro” di Paolo Pilotti per mettere fuori combattimento il naviglio militare del regno delle Due Sicilie. Dopo la conquista dell’Isola, le truppe di Garibaldi erano schierate a Messina, in attesa di raggiungere la Calabria. Il mare rappresentava un grande ostacolo, poiché la flotta garibaldina era nettamente inferiore a quella napoletana. I garibaldini disponevano di una sola nave da combattimento, e dodici unità da trasporto. Inoltre non potevano fare affidamento sull’appoggio di altre marine, poiché Cavour, ostile allo sbarco nel continente dei garibaldini, aveva dato ordine al suo ammiraglio Pillon di mantenere una linea neutrale. La flotta del regno delle due Sicilie, di cui la nave Monarca rappresentava la punta di diamante con 70 bocche di fuoco, invece disponeva complessivamente di 528 cannoni. Proprio il naviglio da guerra borbonico fu oggetto della missione del capitano della marina Paolo Pilotti, all’epoca coperta da assoluta segretezza e tuttora poco nota alla storiografia, per favorire il passaggio sullo stretto delle truppe garibaldine. Pilotti, come tanti compatrioti emigrati o rifugiati all’estero, aveva seguito le vicende legate all’unita italiana e non perse l’occasione di dare il proprio contributo nel suo campo prediletto quando venne contattato dal Generale. In base agli atti parlamentari ma anche dalle successive dichiarazioni dello stesso, il piano consisteva nel catturare una nave da guerra e disseminare fuoco nel porto di Napoli. Il 22 agosto del 1860 Pilotti al comando di un vapore inglese di 45 metri noleggiato, l’Orwell, con 85 membri dell’equipaggio in prevalenza italiani, partì alla volta del Golfo di Napoli, dove era stanziata gran parte della flotta da guerra borbonica. A bordo vi era anche il capitano Raffaele Settembrini, figlio del patriota Luigi. Giunti a Livorno, Pilotti scese decidendo di proseguire via terra alla volta di Napoli, per catturare una piccola nave da guerra con la quale assaltare la flotta: l’Orwell era difatti priva di cannoni. Pilotti giunse a Napoli e per due notti vagò nel golfo cercando invano il suo piroscafo, prima di scoprire l’amara verità: l’Orwell aveva raggiunto l’isolotto di San Martino ma il 28 agosto 5 pirofregate napoletane si accostarono, ponendo indirettamente fine alla missione. L’Orwell proseguì per Messina dove venne bloccato da una nave inglese. La compagnia marittima proprietaria del piroscafo addirittura denunciò Pilotti e Settembrini di crimine di pirateria per aver preso la nave e averla condotta ad una destinazione diversa da quella dichiarata in partenza. L’evoluzione della situazione politica a Napoli infatti non richiedeva più una rivolta armata: Pilotti andava fermato. Insieme a Settembrini, venne inviato a Malta dove entrambi rimasero in carcere per oltre un mese; successivamente, concluse le indagini, il tribunale si pronunciò per la piena assoluzione. In sintesi, la missione di Paolo Pilotti giunse in un momento molto complicato della campagna di Garibaldi, ovvero il passaggio delle truppe nello Stretto di Messina. Il Generale vide nel giovane capitano l’uomo giusto per sferrare un’efficace azione offensiva, ma la rapida evoluzione della situazione e la complessità del quadro politico costituito dal braccio di ferro tra Cavour e Garibaldi per la conquista del Mezzogiorno complicò e finì per compromettere definitivamente l’esito di una missione che avrebbe certamente agevolato la risalita delle camicie rosse verso il nord della Penisola.
Alessio Pizziconi